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L'entusiasmo ha nascosto i rischi

di Alessandro Profumo

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16 giugno 2009

Il risk management è una componente cruciale di ogni strategia di creazione di valore e di massimizzazione del rendimento del capitale investito da un'impresa. La crisi finanziaria iniziata nell'estate 2007 ne ha rammentato la centralità. Da un lato ha ribadito l'importanza del risk management per la crescita sostenibile del valore e della profittabilità di un'impresa. Dall'altro, ha reso tangibili i rischi di un suo malfunzionamento, e ha sollevato giusti interrogativi sull'affidabilità complessiva delle metodologie di risk management del sistema bancario.

Non è un elemento di poco conto, poiché l'evoluzione delle tecniche di valutazione e gestione del rischio e lo sviluppo di mercati liquidi per la sua negoziazione hanno innescato una profonda trasformazione del settore bancario negli ultimi anni. Sono proprio queste componenti che hanno agevolato un crescente trasferimento al mercato di alcuni dei rischi cui la banca è tipicamente soggetta, ponendo le basi per la nascita e l'espansione del modello bancario cosiddetto originate-to-distribuite basato sulla cartolarizzazione dei crediti. Questa trasformazione ha avuto l'effetto benefico di liberare capitale bancario per l'attività creditizia, ma ha anche trasformato parte dell'industria finanziaria in una sorta di grande stanza di compensazione dei rischi. Un eccesso di entusiasmo ha portato molti a dimenticare che la gestione del rischio, benché evoluta e sofisticata, può migliorare le capacità di valutarlo e prezzarlo e di selezionare i rischi da trattenere e da cedere al mercato, ma non può eliminare i rischi stessi.

A mio avviso, ne emerge che una delle cause della recente crisi potrebbe essere collegata proprio al fatto che si sia ingenerata una errata convinzione che una modellistica sempre più sofisticata e la diffusa liquidità dei mercati potessero consentire una crescita indefinita senza rischi. Questo diffuso errato convincimento potrebbe avere pericolosamente ridotto la prudenza di molte istituzioni, eccessivamente fiduciose di poter cedere integralmente al mercato ogni rischio non desiderato e rimanere esenti da ogni conseguenza.

La crisi, invece, ha rimarcato i limiti degli strumenti di gestione del rischio e, allo stesso tempo, ha reso evidente che non si può assumere che l'ampia liquidità necessaria a una aggressiva strategia di cartolarizzazione dei crediti sia sempre disponibile. In questo contesto mi pare sia emerso che la selezione del livello e della tipologia di rischio da assumere e della quota da gestire direttamente, oltre che la sua effettiva gestione, sono e continueranno a essere la principale fonte di creazione di valore per tutte le aziende, in particolare nel settore finanziario e creditizio.

Forte di questa convinzione, credo che sia opportuno intervenire per migliorare la cultura e le tecniche di risk management applicate dal sistema bancario alla luce delle criticità emerse dalla crisi, e che banche e regolatori lavorino insieme in tale direzione. Non si tratterà semplicemente di rivedere indiscriminatamente al rialzo i requisiti di capitale a fronte delle diverse tipologie di rischio - intervento che certamente rafforzerebbe la stabilità finanziaria delle banche compromettendone la redditività - ma di migliorare significativamente le capacità valutative e predittiva dei sistemi di risk management in modo da garantire una maggiore coerenza tra le coperture di capitale e gli effettivi rischi assunti.

Mi pare che fra le aree di miglioramento che sono emerse in maniera evidente dalla crisi vi è il tema dello stress-testing, una tecnica di simulazione finalizzata a studiare le conseguenze di condizioni di rischio estreme. I modelli attuali tendono a valutare gli effetti di crisi future sulla base dell'osservazione delle dinamiche passate. Queste tecniche, seppur affidabili in condizioni di rischio confrontabili allo status quo, non sono in grado di prevedere gli effetti di situazioni estreme e, di conseguenza, quelli di una crisi particolarmente severa.

Ritengo cruciale che i modelli di stress-testing valutino con maggiore attenzione i potenziali effetti di condizioni di rischio particolarmente negative che, seppur di remota realizzabilità (cosiddetto tail risk), possono causare un marcato e generale peggioramento delle condizioni complessive del mercato. Ciò fornirebbe una migliore rappresentazione dei rischi complessivi cui le banche sono soggette e le aiuterebbe a indirizzare in maniera più adeguata le opportune azioni di immunizzazione o di trasferimento dei rischi al mercato. Inoltre, mi pare che sia emerso con chiarezza che il risk management deve uscire da una dimensione di mera compliance ai vincoli imposti dai regolatori, per diventare uno strumento quotidiano di supporto ai manager nella loro attività decisionale, sebbene senza sostituirsi in alcun modo alla loro capacità di valutazione discrezionale e indipendente.

In conclusione, se la qualità dei manager e la loro sensibilità al rischio sono gli elementi più importanti su cui le banche devono investire per ottimizzare il loro profilo di rischio e massimizzare la loro capacità di creazione di valore, mi pare che un sistema di risk management affidabile ed efficiente sia di estrema importanza e valore per consentire ai manager stessi di assumere decisioni informate e razionali.

L'autore è amministratore delegato di UniCredit Group

16 giugno 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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